È l’inizio degli Anni Ottanta quando i bambini europei imparano la Rivoluzione Francese dai cartoni animati giapponesi: Lady Oscar e il Tulipano Nero.
La trama
Le due storie hanno un’ambientazione tanto simile che potrebbero perfino intrecciarsi, ipoteticamente. Oscar vive a corte e viene scelta per far parte della guardia reale, il corpo incaricato della protezione personale dei membri della monarchia; diventa di fatto la guardia del corpo di Maria Antonietta, sposa del futuro re Luigi XVI e, con l’ascesa di quest’ultimo al trono, regina consorte di Francia; appena prima dell’inizio della rivoluzione Oscar, che in precedenza aveva conosciuto Robespierre e sperimentato le atroci condizioni in cui versa il popolo francese, lascia il comando della guardia reale e diviene comandante di un reparto della guardia nazionale, in pratica l’esercito regolare; allo scoppio della rivoluzione è proprio Oscar a guidare l’ammutinamento della guardia nazionale, rifiutandosi di dar l’ordine di sparare sul popolo: l’esercito passa così dalla parte dei rivoluzionari e Oscar viene uccisa durante l’attacco alla Bastiglia.
Nello stesso arco di tempo, Simone vive con la sua famiglia adottiva nei sobborghi di Parigi e sperimenta giorno dopo giorno sulla sua stessa pelle le ingiustizie a cui il popolo è sottoposto a causa della crudeltà della polizia, dei nobili e della stessa famiglia reale: gli esempi sono innumerevoli ed eclatanti e culminano con l’assassinio del padre adottivo della ragazza, il fioraio Loreine, per mano degli uomini della Contessa Catherine offesa perché le è stato confezionato un abito meno bello di quello della regina (!) Istruita da Robert de Vaudrel, che si scoprirà essere il giustiziere mascherato noto come il Tulipano Nero, Simone diventa così la Stella della Senna (da cui la serie prende il nome originale), paladina “dei deboli e degli indifesi”. Quando la rivoluzione divampa, Simone cerca dapprima di intervenire per liberare dalla Bastiglia l’amico rivoluzionario Mirand, ma quando scopre di essere in realtà sorellastra della regina Maria Antonietta, già condannata alla decapitazione, cerca di liberarla; non riuscendoci, salverà almeno i suoi figli: è questa l’ultima “impresa” della Stella della Senna.
Oscar, Simone e la Rivoluzione
Queste le vicende. Trattandosi però di anime “storici”, è interessante osservare come le due storie si rapportano alla Storia: considerato poi che la Storia in questione è la Rivoluzione francese, ossia il primo titanico scontro tra classi sociali contrapposte nell’era moderna, è inevitabile chiedersi “da che parte stanno” le nostre due eroine.
La Rivoluzione del resto, intesa come “resa dei conti” tra sfruttati e sfruttatori, è al centro di entrambe le narrazioni, i cui episodi si possono vedere come un climax che trova il suo culmine con “la lotta finale” e la discesa in campo del popolo contro i tiranni.
Si nota immediatamente allora come, nel momento della verità, Oscar e Simone compiano due scelte antitetiche: l’una, appartenente per nascita, cultura e storia personale alla classe aristocratica, sceglie di abbracciare la causa del popolo; l’altra compie il salto inverso, da paladina del popolo a difensore della monarchia.
In entrambi i casi, il passaggio è esplicito ed eclatante. Oscar mette a rischio la sua stessa vita, rispondendo al generale che le ordina di sciogliere l’Assemblea Costituente a qualsiasi costo: “Io dovrei puntare le armi contro i rappresentanti del popolo?! Io non posso farlo!” (ep. 34). La Stella della Senna si risolve invece ad affrontare armi in pugno i poveri che fino poco prima aveva difeso e che stupiti le chiedono: “Cos’è questo voltafaccia, non eri dalla nostra parte?” (ep. 39).
Si obietterà che Simone, in fondo, protegge la sua famiglia e che questo impulso è più forte del sentimento di astratta “giustizia” che ha guidato in precedenza le azioni della Stella della Senna. Lo stesso, tuttavia, si può tranquillamente affermare anche di Oscar, che scegliendo di combattere con il popolo contro la monarchia tradisce le aspettative di tutta la sua famiglia, a cominciare dal padre (generale dell’esercito e quindi direttamente nemico!)
Ma non sono soltanto le scelte individuali delle due eroine a segnalare l’opposta prospettiva da cui ci viene narrata la Rivoluzione. Quelle scelte sono anzi coerenti con la rappresentazione generale del contesto storico: emblematico è dunque soprattutto il modo in cui sono descritti i rivoluzionari.
Da un lato, vediamo i rappresentanti del popolo all’Assemblea Costituente, guidati da un Robespierre (già incontrato in episodi precedenti) carico di dignità e coraggio, molto più nobile degli aristocratici. Più volte viene sottolineato come i deputati del Terzo Stato rappresentino “il 96% del popolo francese”, a rimarcare la profondità dell’ingiustizia che la monarchia vorrebbe perpetrare negando loro ogni voce in capitolo. In generale, i rivoluzionari sono dipinti come i veri eroi in grado di salvare la nazione dalle prepotenze dei tiranni. La scelta di Oscar non è casuale, ma figlia di questa rappresentazione.
Nell’altra serie, se escludiamo gli amici di Simone, i rivoluzionari sono descritti come criminali assetati di sangue, solo parzialmente giustificati dai torti subiti in precedenza dall’aristocrazia e, in fondo, per nulla migliori dei regnanti che vogliono spodestare. È significativo che sia proprio la puntata finale quella in cui questo aspetto viene più apertamente alla luce: i miliziani del popolo combattono a più riprese (senza successo, ovviamente) contro il Tulipano Nero e contro la Stella della Senna; minacciano i bambini con le parole d’ordine della rivoluzione (“Vi insegnerò tutto sulla libertà e l’uguaglianza” – promette il loro carceriere con un ghigno stampato sul volto); sembrano animati soltanto dal bieco desiderio di potere (“La Francia finalmente sarà nostra quando avremo ucciso quell’austriaca!”) e privi di qualsiasi umanità. Per contro, le figure del re e della regina vengono ammantate di coraggio e nobiltà d’animo, specialmente al momento di salire sul patibolo. La stessa struttura a episodi della narrazione aiuta a far dimenticare ai piccoli spettatori che i monarchi sono direttamente o indirettamente responsabili di quelle ingiustizie da cui la Stella della Senna aveva sin qui difeso il popolo. È dunque la stessa Simone a spiegare che il suo voltafaccia è perfettamente coerente con la situazione descritta in questi termini: “Io difendo i deboli e gli oppressi”. La frase, pronunciata con riferimento ai bambini di Maria Antonietta, vale in realtà anche per i monarchi deposti e condannati ed è un giudizio politico e morale estremamente chiaro: punire gli oppressori significa diventarlo.
Individualismo o lotta di classe?
Portata sul piano delle categorie politiche più generali, la vicenda della Stella della Senna rappresenta perfettamente la parabola dell’idealismo piccolo-borghese: dall’anarchismo o perfino dal terrorismo individuale – questo è Simone dal punto di vista del regime quando difende armi in pugno la povera gente – all’opportunismo (sia pure in questo caso edulcorato dal richiamo al valore della famiglia e dei legami di sangue). Il tratto caratterizzante di questo tipo di atteggiamento è l’estrema sfiducia (della protagonista e probabilmente dell’autore) nei confronti del popolo, che in effetti si manifesta lungo tutta la serie: prima è l’eroina solitaria che deve di fatto sostituirsi alle masse per difenderle dai soprusi; ma quando queste prendono in mano il loro destino in prima persona e compiono la Rivoluzione, il giudizio è talmente negativo che la Stella della Senna (e con lei l’altro eroe della serie, il Tulipano Nero) salta con il suo cavallo dall’altra parte della barricata.
La fiducia nel popolo e nei suoi rappresentanti, personificati da un Robespierre che ispira fin da subito rispetto e stima, è invece la molla che spinge Oscar al suo “tradimento”, ad abbracciare la causa della Rivoluzione contro la stessa classe sociale in cui è cresciuta e ha ricevuto onori (l’amore per il compagno André gioca pure un ruolo, come vedremo oltre). La lotta di classe rivoluzionaria, e non il comportamento di un individuo eccezionale, è vista come l’unico mezzo attraverso il quale il popolo può liberarsi dalla tirannia e migliorare la propria condizione: la scelta di Oscar è infatti quella di abbandonare la propria posizione di privilegio per immedesimarsi con il popolo diventandone parte. La protagonista muore durante il primo assalto alla Bastiglia, ma la lotta può continuare nonostante la sua scomparsa fino alla vittoria, ossia all’abbattimento della monarchia. Il progresso della società e la liberazione dall’oppressione si possono ottenere soltanto dal basso e sono cause per cui vale la pena annullare la propria individualità – fino alla morte.
Una questione di genere
Di non secondaria importanza, al fianco e connessa alla questione di classe, è peraltro la questione di genere, che è del resto centrale specialmente in Lady Oscar. Oscar e Simone rappresentano due concezioni soltanto apparentemente simili, ma in realtà molto differenti del ruolo della donna nella società. Entrambe le eroine si riallacciano chiaramente all’antichissima tradizione delle “donne-guerriero”, che dai miti delle Amazzoni e di Camilla (nell’Eneide di Virgilio) è giunta fino ai nostri giorni regalandoci ultimamente perle come Xena – Principessa guerriera.
Anche qui, il percorso delle due protagoniste è sostanzialmente opposto. Simone può essere “libera” dall’oppressione soltanto assumendo i panni della Stella della Senna che è donna, sì, ma senza volto e senza identità. Ovvio che dietro la necessità del travestimento vi siano ragioni di “clandestinità”, cionondimeno a livello simbolico il mascheramento rappresenta l’impossibilità per la donna di essere protagonista dell’azione sociale rimanendo se stessa: per poter intervenire deve diventare qualcosa di diverso da sé. La storia si conclude quando Simone getta via per sempre la maschera, con la sua rinuncia (anzi, il rifiuto!) a prendere parte nel colossale processo di trasformazione della società rappresentato dalla Rivoluzione. La Stella della Senna, simbolo di libertà, muore per sempre, rimane Simone che d’ora in poi si limiterà ad accudire la propria nuova famiglia: apparentemente questo è l’unico ruolo possibile per una “semplice” donna.
Speculare la parabola di Oscar: costretta sin dall’adolescenza a vestire una maschera – quella del soldato – negando totalmente la propria femminilità per compiacere il padre e adempiere il ruolo imposto per lei dalla società, la sua liberazione coincide con la piena accettazione del proprio essere donna, riconoscendo e ricambiando l’amore di André e spogliandosi dalle vesti militari. Ed è proprio dal momento che diviene pienamente donna che la protagonista può mettersi realmente in gioco, scegliere liberamente il proprio destino e abbracciare la causa in cui crede. Oscar muore da eroe e muore donna, di più: muore da eroe perché diviene realmente donna.
Due punti di vista opposti
Come è stato possibile che nello spazio di pochi anni siano venute alla luce due serie di argomento tanto simile, trattate in modo così differente?
Si può ipotizzare che Lady Oscar, pubblicato originariamente come manga nel 1972 (col titolo di Versailles no bara, La rosa di Versailles), esprima la sensibilità di Riyoko Ikeda, donna e studentessa universitaria durante il Sessantotto che anche in Giappone fu movimento radicale e di massa. Non è forse un caso che inizialmente fu molto difficile per l’autrice trovare un editore disposto a pubblicarlo.
Sebbene segua soltanto di tre anni l’uscita di Lady Oscar, il Tulipano Nero (trasmesso per la prima volta nel 1975 con il titolo Ra Senu No Hoshi, La Stella della Senna) si inserisce invece di fatto nel clima di riflusso e restaurazione sociale seguito alla contestazione. Si tratta oltre tutto di un prodotto concepito direttamente per la televisione – quindi con dinamiche di produzione completamente diverse dal manga e certamente più dipendenti dalle logiche e dalla cultura del mercato.
Qual è la prospettiva “giusta”? Quella di Simone o quella di Oscar? Non c’è risposta a questa domanda: come disse (per la verità un po’ ipocritamente) Obi Wan Kenobi al giovane Luke Skywalker, “le verità che affermiamo dipendono dal nostro punto di vista”.
Certo è che, se il 14 luglio del 1789 Lady Oscar e la Stella della Senna si fossero incontrate, avremmo assistito a un duello spettacolare. Per chi tifare? Per quanto mi riguarda, non ho dubbi.
Non avrai dubbi, ma a me il dubbio resta: per chi avresti tifato?
Io resto dell’idea che il popolo avesse tutte le ragioni di questo mondo per essere inferocito, ma che i modi barbari con cui ha reagito non siano giustificabili.
Ne “La Stella della Senna” le popolane si recano dalla regina “per parlarle”. Nella realtà, pestarono, sgozzarono e decapitarono le donne di servizio e si recarono nella camera da letto di Maria Antonietta per assassinarla, non trovandola in quanto lei era già fuggita.
E non dimentichiamo le accuse orribili che furono mosse alla regina durante il processo-farsa, la ghigliottina che fece più morti di una gamera a gas nazista e gli artefici della rivoluzione che finirono per scannarsi tra loro.
Infatti, non ho nessun dubbio: ci sarebbe voluto più Terrore e più ghigliottina (tra l’altro, è piuttosto ripugnante, oltre che storicamente privo del minimo fondamento, il paragone con la camere a gas).
Ciao!
Analisi ultra condivisibile e approfondita! Bravo Alessandro. C’è un elemento in “Versailles No Bara” su cui l’autrice insiste molto e che trovo dissonante con il mio sentire: la romanticizzazione della vita nobiliare, a partire da quella di Maria Antonietta. Di fatto, la vicenda segue la vita di tre protagoniste (Oscar, la regina e Fersen), nella prima parte il punto di vista del racconto è quasi sempre tra le mura del Palazzo di Versailles e il giudizio sulle ultime due figure è benevolo dalla prima all’ultima pagina: ci sono persone nobili orrende ma verso Maria Antonietta e Fersen non c’è mai un giudizio duro, la loro vicenda è inquadrata in modo tragico e chi osserva è invitato a empatizzare più che a condannare. Come “The Game of Thrones”, è un racconto delle classi privilegiate, dei potenti, delle faccende che riguardano quelli-che-contano. Le due principali figure che arrivano dal basso (Rosalie e Jeanne) sono raccontate entrambe nella loro scalata sociale di successo. Non stiamo parlando di una storia operaia, insomma: il punto di vista non è mai dai margini, lo è saltuariamente quando l’uomo che suona la fisarmonica ricorda le condizioni del popolo parigino, ma si tratta di un’irruzione in un discorso che è fatto sempre nel recinto della nobiltà. Se provo a essere benevolo, immagino che l’autrice abbia ottenuto carta bianca promettendo una narrazione che ha al centro miserie e splendori delle classi alte, mantenendo sostanzialmente l’impegno ma introducendovi tante micro cariche esplosive che portano alla lodevolissima sovversione da te ben descritta. Dal confronto con “La stella della Senna”, l’impresa guadagna un milione di punti, ma presa da sola, “Versailles No Bara” sconta un po’ il tentativo di convincerci che esistono ricchi buoni e ricchi infami ed evitando di attaccare frontalmente (e dal punto di vista strutturale del racconto) la questione del privilegio. Beninteso: anch’io preferisco un racconto della nobiltà con esiti del genere, piuttosto che un racconto incentrato sul popolo che si chiude come quello di Simone.
Sulla faccenda di genere, invece, trovo il finale epico ma molto poco impoterante: il prezzo del coming out e della piena accettazione della propria identità è la morte. Bella prospettiva di merda 😅 Assolutamente verosimile, ma non incoraggia nessunə a seguirne le tracce, vista la sanzione che l’autrice (e per suo tramite la Storia) ha in serbo per ləi.
Non sono riuscito a leggere l’articolo che hai linkato su FB (riservato agli abbonati al NYT, diceva) ma capisco il senso della tua critica e in parte lo condivido.
Vero è che la narrativa (così come la storia stessa) è piena di eroi che pagano con la morte la loro scelta di affrancamento, senza grandi distinzioni di genere: primo fra tutti Spartaco. Non credo che questo disincentivi i lettori/spettatori a seguirne le tracce. Al contrario, l’espediente – se di questo si tratta – contribuisce alla loro immortalità. Ci ricorderemmo con tanta passione di Oscar se fosse sopravvissuta alla rivoluzione? O per fare un esempio da un contesto totalmente diverso, la storia del Gladiatore avrebbe la stessa potenza se Russel Crowe, invece di morire nell’arena, avesse davvero ripristinato la Repubblica romana?
Sul resto del commento, sposo senz’altro la tua interpretazione. Grazie!
Lady Oscar è ancora al n1 dei migliori anime di tutti i tempi su animeclick, mitico